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Cose nostre dell'altro mondo

Per descrivere quale sia stata la gioia dovuta all'incontro con le comunità scillesi residenti in Canada e egli Stati Uniti forse non basterebbero cento articoli su tale argomento. Prima e durante il viaggio vi era la consapevolezza che si andava ad "esplorare" un altro mondo, la cui storia e cui tua nonchè gli usi e i costumi certamente avrebbero rispecchiato un modo di vita diverso dal nostro. Per molti di noi si partiva alla volta della "scoperta" dell'America. Avendo incontrato e conosciuto tanti parenti e compaesani non volendo dimenticare proprio nessuno nel descrivere luoghi e vicende non citerò alcun nome poichè nel mio pensiero e nel mio cuore saranno presenti tutti, indistintamente. È ammirevole il sentimento di amore verso l'Italia ed in particolare verso la nostra Scilla che ciascun compaesano porta dentro di sè, al solo pronunciare o sentire il nome della nostra cittadina "ci mbiddavunu i mussa", tanta era l'emozione e la gioia di ospitare una così numerosa rappresentanza "scigghitana". Per non parlare poi dei momenti in cui ognuno doveva spiegare la famiglia di appartenenza: nome e cognome non bastavano, era necessario anche il soprannome della propria famiglia e quello di eventuali altri parenti. Insomma, bisognava formare a via di "'ngiurie" l'albero genealogico della famiglia per scoprire che il bisnonno del papà o il prozio del nonno era il cugino del nonno o del papà del compaesano conosciuto da poco e così si ritrovavano tantissimi parenti che la lontananza ci aveva fatto quasi dimenticare. Una frase che faceva divertire soprattutto noi giovani e che ripetevamo spesso, sempre però con il massimo rispetto verso chi la pronunciava, suonava presso a poco così:" Mi canusci cu sugnu ieu?.. No? cantu anni avitia?... A vintiquattrut... Allura non mi putiti canusciri... iavi quarata anni chi mancu ru paisi!". Comunque e dovunque si andasse vi era la continua ricerca di un legame con le proprie origini, in queste occasioni la lingua ufficiale era il dialetto; l'essere per noi in una terra straniera non ha costituito affatto un handicap anzi ne è venuto fuori un nuovo idioma che ho chiamato "scigghitanese" (incrocio tra scigghitano e inglese), però causava qualche piccola incomprensione quando qualcuno di noi telefonava in Italia. Infatti, capitò che uno della compagnia chiamò casa per dare notizie di sè alla propria mamma e così si espresse:" Mamma, mi trovu nta becheria e ropu ru telefuni mi mangiu 'na panchecca, a poi mi fazzu 'nu giru cu carru ch'esti 'mparcatu fora ru storu, iu no? (Mamma, sono in in una pasticceria e dopo la telefonata mangerò un dolce, subito dopo farò un giro in macchina che è parcheggiata fuori dal centro commerciale, hai capito?!). E inutile descrivere le imprecazioni di quella povera mamma che nel temere di perderlo ripeteva "ma comu parri, torna prestu figghiu!". Questi esempi agli occhi di molti potrebbero apparire cose di poco importanza ed invece fanno trasparire la caparbietà con cui i nostri compaesani cercano in tutti i modi di conservare il nostro dialetto e le loro origini, cosi da tramandarli ai figli. Certamente in qualche caso i ricordi sono rimasti quelli degli anni in cui la gente si accingeva a lasciare il proprio paese per un'altro più grande e sconosciuto, con la sola speranza di fare un pò di fortuna. Ricordi trasmessi alle varie generazioni, molte delle quali non hanno conosciuto la terra che ha dato i natali ai loro padri: emblematico è l'esempio che sto per fare. Fui invitato, insieme ad altri due compagni di viaggio, da una ragazza di origine italiana per fare un giro per le vie di Toronto e visitare l'Università. In quell'occasione seguimmo anche una lezione di lingua italiana, che aveva per tema il modo in cui avviene la cerimonia funebre in Italia rapportata al rito delle comunità italiane resilienti all' estero. Naturalmente a noi che eravamo spettatori per certi versi la cosa destava ilarità, che durò poco però! Il fatto che ci colpì di più e che per noi era necessario correggere fu il modo con cui veniva immaginato e descritto il rito funebre; per quei studenti il funerale in Italia era sinonimo di "melodramma"; di sceneggiata napoletana. A loro è stata tramandata quell'usanza che forse nei primi anni di questo secolo era solita celebrarsi ed in qualche caso traspariva chiaramente il ricordo esasperato della narrazione di qualche famoso film. Dopo aver decretato che quello che le nostre povere orecchie stavano ascoltando erano "così ill'autru mundu", spinti dall'orgoglio per meglio precisare l'errore in cui erano caduti i nostri amici studenti e cogliendo l'invito di una professoressa, originaria di Pescara e che per la squisita gentilezza ancora oggi ringraziamo, ci siamo intrattenuti per circa un'ora e mezza a dialogare precisando il modo in cui effettivamente avviene il rito funebre nel nostro paese. Tutto questo conferma quanto detto prima, i ricordi sono lontani soprattutto per quelle persone che non hanno fatto più ritorno nei loro paesi d'origine; persino il dialetto è rimasto quello di un tempo, per chi volesse sentire alcune frasi oramai in disuso dovrebbe trascorrere qualche giorno con queste comunità, vi troverebbe un tesoro inestimabile! E qui non posso fare a meno di raccontare un episodio accadutomi: si era a Port Chester e stavamo rappresentando uno dei lavori preparati per i nostri compaesani. Mi trovavo in scena e la parte da me interpretata mi portava a parlar male dei macellai, quando dalla platea qualcuno gridò: "cittu; zzacchiti". La mia prima reazione fu quella di mordermi la lingua per evitare di ridere, finito il lavoro mi venne a salutare un compaesano e dopo essersi presentato mi disse anche la sua professione, "u bbucceri". Al di là del simpatico episodio quello che mi colpì fu la parola "zzacchiti" (stupido), era da bambino che non la sentivo pronunciare e così tante altre parole che noi giovani non ricordiamo più. É indubbio però lo sforzo che hanno fatto le nostre comunità in questi paesi per mantenere vivo il ricordo delle loro radici, è ammirevole percepire il sentimento che li lega alla nostra terra, constatare i sacrifici fatti per poter emergere e condurre una vita da "cittadini italiani residenti all'estero" e per dirla con una frase del comico Totò "i meridionali all'estero si sono sempre piazzati bene"! A questo punto mi fermo anche se ci sarebbero tante altre cose da raccontare, molti ricordi saranno sempre presenti, l'allegria che ci ha accompagnati, la squisita ospitalità, i desideri esauditi (poco ci mancava che ci venisse offerta la luna su di un vassoio), la gioia dello stare bene insieme.

Un grosso ed affettuoso plauso va ai Comitati! '

Grazie amici e parenti americani per quei magnifici venti giorni ed al più presto rivederci, grazie per averci aiutato a scoprire l'America, grazie ancora per averci fatto "scoprire" alcune cose nostre dell'altro mondo.

 

Filippo Teramo - Novembre 1992